Il calo dell’efficienza cognitiva ed in particolare della memoria e della capacità di attenzione, è lo spauracchio che, per l’aumento dell’aspettativa media di vita, dovrà affrontare la presente e soprattutto la futura generazione di cinquantenni, proprio quando il progresso tecnologico e la conseguente esigenza di innovazione rendono indispensabile un costante esercizio di adattamento e di apprendimento per “stare al passo”, in un processo di aggiornamento continuo. Già oggi ci stiamo confrontando con questo problema.
I disturbi della memoria sono un sintomo molto comune, che interessa il 7% delle persone con più di 65 anni e può raggiungere il 30% nelle persone sopra gli 80 anni.
E’ infatti nozione ormai diffusa essere consapevoli che il “nonno” può perdere la memoria e, con una terminologia più colorita, “avere un po’ di Alzheimer”. Ma anche molte altre malattie neurologiche, come per esempio il M. di Parkinson, l’ictus cerebrale o il trauma cranico, o altre condizioni patologiche come l’uso continuativo di farmaci o l’abuso di sostanze (alcol o droghe) possono provocare alterazioni anche persistenti delle funzioni cognitive.
Nonostante il grande impatto di queste disfunzioni, sia in termini di salute che di ricadute economiche e sociali, poco o nulla si fa per rallentare o contrastare il processo di “invecchiamento” funzionale, nonostante esistano evidenze concrete che si possa intervenire e soprattutto prevenire e….non soltanto farmacologicamente.
La neuropsicologia è una scienza ormai “anziana” che ha l’obiettivo di studiare proprio i processi cognitivi (percezione, attenzione, linguaggio, memoria, ragionamento, ecc) ma anche le emozioni, la personalità ed il comportamento.
L’approccio neuropsicologico si serve di test standardizzati che permettono di “misurare” le diverse funzioni e di definire un profilo cognitivo che consente di stabilire, eventualmente, anche un programma riabilitativo specifico.
La riabilitazione neuropsicologica favorisce infatti la riorganizzazione cerebrale, creando una stimolazione ambientale con approccio individualizzato, che risponde ai bisogni cognitivi, emotivi e motivazionali del paziente, allo scopo di migliorarne l’adattamento funzionale nonostante il danno cerebrale subito.
La riabilitazione cognitiva si basa sulle “abilità residue” ed è, dunque, lo studio delle “opportunità riorganizzative” impiegate dal cervello che è stato leso; parte dal presupposto che la neuroplasticità presente dopo la lesione sia guidabile per ottimizzare il trattamento riabilitativo, che è orientato al raggiungimento del massimo grado possibile di autonomia e di indipendenza attraverso il recupero e/o la compensazione delle abilità cognitive e comportamentali compromesse.
Dr.ssa Morreale come si attua, nel concreto, un percorso neuropsicologico?
Si comincia con la raccolta della storia clinica della persona e con la valutazione diagnostica, attuata con i test standardizzati per le singole funzioni; in questo modo si definisce l’eventuale presenza e la gravità delle alterazioni delle singole capacità cognitive e/o emotive. Su questa base si procede con la prescrizione delle strategie terapeutiche farmacologiche; ma possono essere eventualmente definiti anche gli obiettivi riabilitativi specifici, comunque finalizzati al miglioramento della qualità della vita del paziente ed al reinserimento dell’individuo nel proprio ambiente familiare e sociale.
Dr.ssa Morreale perché, nella valutazione neuropsicologica, si usano i test?
I test sono uno strumento di misurazione che permette di confrontare la prestazione del singolo soggetto con quella di un campione di popolazione “normale” di riferimento. Permettono, quindi, di stimare la differenza di prestazione del singolo soggetto in termini statistici. Al momento della prima valutazione, questo è l’unico modo per essere oggettivi ed affidabili anche nella diagnosi e per uscire dalla sola “impressione clinica”, in particolare nelle forme di disfunzione cognitiva lieve. Inoltre, solo con i test si possono anche differenziare le varie forme di demenza che, non essendo “tutte uguali”, possono avere indicazioni terapeutiche e prognostiche diverse.
Nelle valutazioni successive l’utilizzo dei test (che danno risultati numerici e, quindi, quantificabili) permette un confronto evolutivo (miglioramento, stabilità o peggioramento) delle prestazioni del soggetto. Consente, dunque, di verificare anche l’efficacia degli interventi attuati e di definire una prognosi.
Infine, l’utilizzo del test permette di scrivere relazioni che possono essere utilizzate in sede legale e assicurativa (richieste di risarcimenti, indennizzi e di pensioni).
Dr.ssa Morreale, quindi, non sono solo le persone anziane che potrebbero avere problemi della memoria e dell’attenzione?
Si è proprio così. I problemi delle funzioni cognitive ed, in particolare, della memoria e dell’attenzione, possono presentarsi a tutte le età e per cause differenti: nel giovane rappresentano, spesso, gli esiti dei traumi cranici o di emorragie cerebrali; nell’età media sono, più frequentemente, la conseguenza di lesioni vascolari (ictus o emorragie); nell’età più avanzata, le malattie neurodegenerative rappresentano invece la causa più comune.
“C’è sempre qualcosa da cui si può partire per migliorare”